LEZIONE DI LIBERTÀ

Se un bravo regista volesse girare un film storico sui primi passi dello yoga in Europa, gli suggerirei di raccontare la storia di Vanda Scaravelli. Una delle prime scene potrebbe vedere lei, giovane e bellissima, alla guida della sua Flaminia sulle colline attorno a Firenze con accanto J.K.Krishnamurti, altrettanto bello ed appassionato di automobili. Mi immagino i due chiaccherare poco e guardare grati la bellezza della natura; circondati dal quel meraviglioso silenzio che unisce due persone legate da una vera affinità elettiva. Lui nato vicino a Madras nel 1895, è orfano di madre, indiano brahmano, scovato denutrito su una spiaggia indiana dai teosofi e da loro educato per divenire “il buddha Maitreya”:il nuovo maestro mondiale. Lei, nata a Firenze nel 1908, è figlia di Alberto Passigli, musicista fondatore del “Maggio Musicale Fiorentino”, e di Clara Corsi, ottima pianista nonché una delle prime donne laureate in Italia.

Nella luminosa sala della musica dei genitori a Villa “Il Leccio”, ha conosciuto artisti e pensatori eccelsi tra cui Arturo Toscanini, Arthur Shnabel, Bronislaw Huberman, etc. Da ragazza si recò con la famiglia al raduno indetto dai teosofi a Ommen in Olanda nel 1929. Fu lì che vide per la prima volta Krishnamurti che, proprio in quell’occasione, di fronte a tremila seguaci pronti a seguirlo, aveva pronunciato il famoso discorso:”…la verità è una terra senza sentieri tracciati e voi non la potete avvicinare attraverso nessun sentiero, nessuna religione, nessuna setta…”. E, sciolto l’Ordine della Stella che i teosofi avevano fondato proprio in suo onore, inziò a diffondere quel messaggio di libertà interiore che lo avrebbe reso uno dei più grandi maestri spirituali della sua epoca. Lei, diplomata in pianoforte al Conservatorio di Firenze poi studiò composizione a Parigi. Si sposò con Luigi Scaravelli, professore di filosofia, con cui ebbe due figli e un’intensa vita culturale e sociale. L’amicizia con krishnamurti, però, fu per sempre. grazie a lui iniziò a studiare yoga.

OSPITI D’ECCEZIONE
La sua famiglia era molto amica di Krishnamurti, che ogni anno nei suoi viaggi tra l’India e L’america, soggiornava nella loro villa, dove nessuno si aspettava che facesse il guru e poteva scrivere e pensare in pace. Durante l’estate lo ospitavano a Chalet tanneg a Gstaad, Svizzera, dove tutte le mattine dalle sette alle otto il maestro B.K.S.Iyengar gli dava lezioni di yoga e poi si fermava per insegnare anche a Vanda. Così per alcuni anni lei ebbe il privilegio di studiare privatamente con uno dei maestri più famosi del mondo. Quando iniziò aveva quasi 50 anni e stava attraversando un periodo esistenziale molto difficile per la morte improvvisa del marito, avvenuta nel maggio 1957, e lo yoga, a cui si affidò senza aspettative e senza pregiudizi, le fu di aiuto. “Non sapevo che mi avrebbe aiutato – ha dichiarato Vanda in una intervista a Yoga Journal (edizione americana) – Perchè io lo praticavo come il tennis o un qualsiasi altro gioco: per me era divertente. Ma agì molto più profondamente di quello che potevo capire in quel momento. Una nuova vita entrò nel mio corpo. In natura i fiori bocciano in primavera e nuovamente in autunno. Sentii questo.” In seguito, sempre in Svizzera, affinò lo studio del respiro con Desikachar, il figlio di Krishnamacharya, invitato da krishnamurti. Senza cercarlo, studiò dunque con due tra i più importanti maestri indiani, a cui rimase legata da sincera amicizia. Desikachar, quando passava da Firenze, non mancava mai di andarla a trovare e cantava per lei. Però, come Vanda scrisse nel suo libro “Awakening the spine” fù quando smise di andare a lezione e diventò maestra e allieva di se stessa che lo yoga le si rivelò in tutta la sua bellezza. Ancora una volta indirettamente Krishnamurti le fu di aiuto. Lui faceva fatica con lo yoga e lei cercò un modo di aiutarlo. Scoprì che seguendo l’onda del respiro il corpo diventa molto morbido ed elastico. Scoprì che il segreto così semplice da diventare misterioso, è il non fare, che meno si fa più le cose arrivano, che serve lavorare “con”, e non “contro”. Non si tratta di provare, ma di “essere” senza sforzo, rimanendo nell’onda del respiro, con gioia, con cuore intelligente, senza diventare schiavi delle idee, usando il radicarsi a terra, la forza di gravità come base di appoggio per stendere la parte superiore del corpo.

LA CHIAREZZA DELLA SCRITTURA
Spiegò il suo rivoluzionario approccio allo yoga nel libro, scritto a 83 anni, con una prosa limpida ed elegante. Inoltre, in “Awakening the spine” le sue foto in posizioni impegnative si intervallavano a immagini di natura scelte da lei, una per una, che illustrano la libertà, l’amore, la sapienza dei corpi, gli ingredienti fondanti del suo yoga. Ecco alcune frasi estratte dal libro: “lo yoga non deve essere praticato per controllare il corpo: al contrario, deve portare libertà al corpo, tutta la libertà di cui ha bisogno”. “non c’è niente che deve essere fatto. Non è uno stato di passività ma, al contrario, di osservazione. E’ forse la più attiva delle nostre attitudini, andare “con” e non “contro” il nostro corpo e le nostre emozioni. C’è bellezza nell’accettazione di ciò che è” “Il respiro e gli esercizi yoga portano energia, trasformano il corpo da materia a energia”.”Non è possibile insegnare come respirare, ma guardando e ascoltando il battito del cuore e i movimenti dei polmoni, seguendo attentamente le inspirazioni e le espirazioni si può scoprire molto”.

IL RESPIRO MODELLA IL FISICO
Vanda pensava che si può cominciare a praticare a qualsiasi età, anche a 70 o 80 anni, se si segue il respiro, se si lavora “con” il corpo e non “contro” e se si è pronti a ricevere l’energia. “Lo yoga – diceva – non modifica l’età, ma il corpo diventa più sano. Non esiste la vecchiaia se non ci si ritira dalla vita, se non ci si chiude in una conchiglia”. Nel video “Vanda Scaravelli on Yoga” (Emyogastudio) la si può vedere a 88 anni mentre insegna yoga nel suo appartamento di Torento e mostra con naturalezza ed eleganza Urdhva Dhanurasana (la posizione dell’arco partendo dalla posizione eretta). “Ho visto Vanda Scaravelli – scrive Ester Mayers, una delle sue pochissime allieve – eseguire Urdhva Dhanurasana per più di dieci anni ed ogni volta per me era come vedere un’inarcamento per la prima volta. Guardavo e ascoltavo questa potente e sottile donna nel mezzo dei suoi 80 anni piantare il suo grande piede al suolo e parlare di mettere radici. Quindi, con un movimento ritmico e come di onda lei si sarebbe inarcata, sarebbe scesa al suolo e poi tornata, il tutto mentre nel frattempo parlava sul mettere ali e sul librarsi degli uccelli e dell’amore. Sarebba tornata su, poi ancora giù. Su e giù, come se potesse farlo per sempre”. Tecnicamente (ammesso che questa parola con lei si possa utilizzare), parlava piuttosto di ascolto del corpo, spiegava che se si lascia che la gravità ci tiri e ci radichi dalla vita in giù, se ci apriamo a questa spinta verso la terra, stando rilassati, la parte superiore del corpo diventa leggera, aperta, ricettiva e rilassata. Più la parte inferiore sprofonda più la parte superiore si allunga e rilassa: si produce allora un’onda all’interno della colonna vertebrale seguendo la quale il corpo si può muovere agilmente.

UN’INSEGNANTE INSOLITA
Cominciò a insegnare a 60 anni e solo lezioni private. Ha avuto pochisimi allievi (meno di dieci). Rossella Baroncini è stata la più giovane delle sue seguaci, l’unica che non fosse già un insegnante yoga. Cominciò a studiare con lei a 26 anni e continuò per quasi 20 anni, fino alla morte di Vanda nel 1999, a 91 anni. “tre ore di seguito una o due volte alla settimana – racconta Rossella – Insegnava a casa sua in un piccolo soggiorno dove c’èra anche il suo pianoforte, una stanza normale, piacevole, con una bellissima vista sulle colline toscane. Viveva da sola, ma almeno una volta al mese invitava amici, atristi, musicisti, senza pregiudizi. Ero lì quando ricevette la telefonata della morte di Krishnamurti dell’86. Non lo sapeva ancora nessuno. Erano sempre rimasti amici. Lui era profondamente radicato alle tradizioni indiane, lei invece integrava nello yoga il sapere condiviso con il marito filosofo, l’arte respirata nella sua famiglia, la cultura occidentale coltivata in tanti anni e la sua sensibilità femminile. Non mi ha mai parlato di Patanjali o della “bagadad Gita” – continua Rossella Baroncini – Mi metteva in contatto con il suo cammino profondo, con la sua incredibile libertà interiore. Non mi ha mai chiesto di fare qualcosa per lei in cambio del suo insegnamento, semmai era lei a farlo invitandomi a colazione. Inoltre, era molto attenta a evitare ogni forma di manilpolazione. Aveva già vissuto tutte le fasi della vita e i suoi figli erano ormai grandi, per cui era una donna libera. l’impegno reciproco era la trasmissione. Tra noi non c’era una semplice amicizia, ma un grande affetto: era la mia maestra e lo è ancora. Aveva una grande pazienza, una grande fiducia. Non imponeva nulla, ma fare lezione con lei era un lavoro duro, difficile. tre ore sotto i suoi occhi e le sue grandi e forti mani che non si distraevano mai. Lei voleva che lo yoga fosse il frutto di un ascolto profondo, che le tecniche fossero una riscoperta individuale”.
Non ha mai voluto fondare una scuola, una tradizione che ingabbi. “L’insegnamento – diceva – comincia con la libertà e finisce con la libertà…..la comprensione porta all’indipendenza ed alla libertà”. in una intervista rilasciata a yoga Journal (edizione americana), spiega cosa è per lei lo yoga: “è salute, è comprensione, è creazione, è soprattutto amore. Quando sei aperto l’amore viene. è solo quando sei sulla difensiva e impaurito che chiudi le porte. Quando sei aperto puoi comunicare con la persona che ti è vicina, con la natura, con il mondo ediventi tutt’uno con qualsiasi cosa che ti circondi”.

articolo scritto da Emina Cevro Vukovic su Yoga Journal Italy  | Giugno 2008